domenica 27 agosto 2017

MESTIERI CHE CAMBIANO, MESTIERI CHE SCOMPAIONO: IL BARBIERE DI SICILIA

Quella del barbiere è la bottega artigiana che nei paesi ha avuto sempre il ruolo di punto di ritrovo, di lettura e di conversazione, ruolo importante mantenuto anche oggi nonostante i mutamenti ai quali è andato incontro questo tipo di mestiere.
I barbieri di un tempo sono diventati "coiffeurs pour hommes" o anche acconciatori per uomo, rubando spesso il termine di parrucchiere a quelli che si dedicano ad acconciare i capelli agli appartenenti all'altro sesso.
I cambiamenti in ogni modo non riguardano soltanto l'appellativo che resterebbe in caso assai marginale, ma si riferisce a molti fattori che presentano invece una grande importanza, fra tutti, quelli economici.
Un tempo, la barba ed un taglio di capelli non avevano una tariffa, perciò l'artigiano-barbiere si doveva accontentare dell'offerta del cliente, offerta che dipendeva dalle condizioni economiche e dalle caratteristiche di generosità o di tirchieria del medesimo.
C'era fra i barbieri di paese una vera lotta per accaparrarsi i clienti più importanti, i professionisti, i titolati, benestanti, anche se costoro si presentavano sempre decisi a diminuire l'offerta, facendo usare a loro vantaggio ed a seguito del barbiere la propria importante situazione sociale.
II mestiere del barbiere va annoverato nell'artigianato che resiste anche se dovrà affrontare difficoltà per la mancanza di apprendistato. I giovani non ne vogliono sapere, manca il ricambio.
In questo pezzo vogliamo far conoscere una ricerca che coinvolge due ingegneri, una ricerca un po’ bizzarra, ma che già raccoglie più di 300 fotografie: “Alla ricerca dei Barbieri di Sicilia”, iniziata molti anni prima dall’ing. Achille Baratta e, inseguito ad un coinvolgimento, dall’ing. Maria Scalisi, ritrovandosi in un mondo che non appartiene ma molto affascinante.
Le immagini fanno parte di una ricerca realizzata scovando le barberie non ancora travolte dalla modernizzazione, e non solo, in tutta l’isola e fotografando i paesaggi che appartengono al luogo.
Più di trecento capolavori, trecento fotografie, rigorosamente in bianco e nero, nel quale l’occhio del fotografo indaga un universo maschile arcaico, ritraendo situazioni e personaggi, oggi, quasi del tutto scomparsi, componendo un quadro dal sapore documentaristico e antropologico.
Un viaggio attraverso i negozi dei piccoli paesi, per fotografare non soltanto le mura, ma anche le persone, i clienti e la loro storia. Che poi la storia della Sicilia.
Le riprese fotografiche, hanno seguito un itinerario fra barberie di città e di piccoli paesi, procedendo dall’interno alla costa per tutta la Sicilia.

Saloni da barba, con il loro corredo musicale, è materia che danno forma. Note di un mandolino che accompagnano così, ad apertura di un supporto musicale, ad un vero e proprio viaggio nel tempo. I vecchi saloni si rianimano, i motivi musicali peculiari si espandono.
Un arredo elegante e minimalista degli odierni saloni di bellezza, e far rivivere invece un’aura oggi quasi irriconoscibile. Paesini di poche migliaia di anime, vere e proprie trincee di una memoria ormai sbiadita.

Nel mese di giugno, gli stessi ingegneri, pubblicano un libro, dal titolo “I Barbieri di Sicilia”, edito Di Nicolò Edizioni, con una parte della raccolta delle fotografie, in vendita in tutte le librerie.











domenica 26 marzo 2017

VI RACCONTO LA MIA STORIA DA TECNICO VOLONTARIO AL “SISMA2016”

VI RACCONTO LA MIA STORIA DA TECNICO VOLONTARIO AL “SISMA2016”

Ing. Maria Scalisi


            …Ancora lì la terra trema ed oggi, a distanza di sei mesi dall’ultima scossa di terremoto nelle quattro regioni del Centro Italia colpite, si continua ancora a contare i danni.
            Varie istituzioni che si sono messe in atto, il CNI (Consiglio Nazionale degli Ingegneri), l'Associazione Nazionale Ingegneri per la Prevenzione e le Emergenze (IPE), che propone di valorizzare la cultura della sicurezza e della prevenzione negli ambiti di attività specifiche dell'Ingegnere e nel campo delle metodiche di ingegnerizzazione delle problematiche della protezione civile, delle calamità naturali e della tutela e messa in sicurezza del territorio e della protezione ambientale e l’Ordine degli ingegneri della Provincia di Messina del quale faccio parte, sensibilizzando tutti gli ingegneri a prestare servizio volontario per il censimento di strutture distrutte o danneggiate dal sisma.
            Sono rimasta terribilmente colpita da come questo terremoto abbia distrutto letteralmente interi paesi e decido di prendere una scelta “azzardata”, mettendomi anche un po’ contro i miei genitori: “Maria ancora lì la terra trema”, ma decisi di mettermi in gioco in qualcosa di “complicato”, mettermi “alla prova”, ma soprattutto prestare servizio volontario per aiutare le popolazioni colpite da questa calamità. I rilievi hanno preso inizio con i professionisti delle quattro regioni colpite, ma i paesi colpiti erano talmente tanti che di conseguenza servirono convocare altri professionisti, interpellando tutti a livello nazionale.
            Compilai il format e diedi disponibilità per la seconda settimana di marzo 2017.
            Il primo giorno è dedicato alla formazione, con convocazione all’università degli studi di ingegneria a Rieti, molti erano alla “prima esperienza”, alcuni avevano la squadra organizzata, altri erano in attesa di scoprire il “proprio compagno d’avventura”.
            Nella mia squadra eravamo in due, un professionista campano, l’ing. Borrillo Pierfranco, ingegnere dalla grande sensibilità e professionalità e ci diedero come luogo sa valutare un comune della regione Marche, Tolentino, provincia di Macerata.
            Partimmo verso queste zone sconosciute, con una divisa in cui vi erano stampati i loghi del CNI e dell’IPE, (fiera ed orgogliosa di essere un ingegnere).
            Si decise di andare a visitare uno dei paesi più colpiti dal secondo terremoto, Arquata del Tronto, mentre viaggiavamo il territorio intorno a noi era completamente distrutto. Arrivati, rimasi un po’ sotto shock, un paese dove la natura nella sua furia aveva distrutto tutto, un colpo al cuore.
            Rientrammo in albergo, io con un pensiero a ciò che avevo visto e tra virgolette un po’ sconvolta per tutto ciò che non mi aspettavo.
            Il giorno dopo andammo al comune di Tolentino, un comune molto organizzato, ufficio, squadra dedita a servirci le più utili informazioni per poter svolgere il nostro servizio nel migliore dei modi. Direttive, informazioni, numeri utili, planimetrie, scheda FAST da compilare… e si PARTE.
            Inizia la “missione” cercando di fare al meglio squadra con l’ing. Borrillo e dare il giusto peso, anche sul lavoro, all’empatia, e cercare di mantenere la “freddezza del professionista”, cercando di controllare le emozioni, sebbene alquanto difficili.
            L’attesa degli “ingegneri” nella propria casa era molto attesa. Il sopralluogo consisteva nell’andare a visionare tutto l’edificato nella sua interezza, partendo dai piani sottoterra, fino alla copertura, cercando di andare ad analizzare tutte le lesioni che si erano causate con la calamità che ha colpito questo territorio.
            Le giornate si svolgevano tutte cosi, sveglia presto, organizzazione sopralluoghi e poi giungere a sera in albergo e confrontarsi con i colleghi, discutendo sui vari casi particolari che si erano susseguiti.
         Non è stato facile ma ce l’abbiamo fatta.
            Un’esperienza molto formativa, non solo sotto l’aspetto lavorativo ma emotivo. È passata già quasi una settimana e mi tornano continuamente nella mia mente immagini vissute, immagini delle persone incontrate e dei luoghi visitati, visi di uomini segnati dalla perdita di un bene, ma con una gran grinta e voglia di riprendere la propria vita quotidiana.
         Il bello di aver condiviso questa esperienza con dei veri professionisti, venuti da tutta Italia, tutti con l’intento di mettere a disposizione la propria conoscenza.
            Una cosa è certa: io ci tornerò.









           


domenica 12 marzo 2017

…ANCHE GLI SCALPELLINI HANNO UN SANTO: SAN MARINO - Un uomo che fondò la più antica Repubblica al Mondo

Penetrando nel profondo la pietra
come un atroce aratro d'acciaio
scava solchi solidi lo scalpello
suscita la subbia schegge e scaglie
graffia con grinfie aguzze la gradina
bulinano le punte dei violini
labirintici ricami di trina
il marmo è un morbido merletto
che si anima in mani di mago
e l'informe infine si fa forma.
… Gli scalpellini





…ANCHE GLI SCALPELLINI HANNO UN SANTO: SAN MARINO
Un uomo che fondò la più antica Repubblica al Mondo


                La più antica Repubblica ha origini antichissime, infatti, la sua fondazione risale al 3 settembre 301 d.C., quando Marino, un tagliapietre dalmata dell’isola di Arbe, forse fuggito dalle persecuzioni contro i cristiani dell’imperatore romano Diocleziano, stabilì una piccola comunità cristiana sul Monte Titano, il più alto dei sette colli su cui sorge la Repubblica.
            I romani già transitavano da queste parti attraverso la via Flaminia che andava da Roma alle regioni orientali e qui si fermarono 6000 famiglie di coloni-soldati che suddivisero il territorio secondo il criterio della centuriazione in linee perfettamente ortogonali sui punti cardinali ad esclusione del nord dove la nascente via Emilia determinò una diversa angolazione. La strada e le opere per la difesa del territorio richiesero, come sempre, molta pietra e qui si inserisce la storia di Marino di mestiere scalpellino
          Per alcuni è la storia, per altri una semplice leggenda, comunque si racconta di un uomo di origine dalmata, arrivato a Rimini nel 257 dopo Cristo assieme al compagno Leo per lavorare, come tagliatore di pietre, il ripristino delle mura difensive del borgo. La storia poi racconta che si meritò la beatificazione per la diffusione della nuova fede cristiana fondando, tra l’altro, una comunità monastica in cima al monte Titano. Per altri meno disponibili alla liturgia, Marino, veramente dalmata, era un eremita che viveva su quelle cime tra il VI e il VII secolo. Per questa versione Marino entra nella storia della piccola Repubblica per aver fornito con il suo nome, il 20 febbraio del 885, la ragione storica per sistemare una controversia tra l’abate di San Marino ed il vescovo di Rimini su alcuni terreni di cui si era persa la proprietà.        
         Il fatto prese il nome storico di placito feretano su cui viene sancita, in pratica, la nascita della piccola Repubblica.
            Fu sepolto nella chiesa che egli stesso aveva eretto e dedicato al San Pietro e successivamente fu nominato Santo. E’ l’unico Santo fondatore di uno Stato e patrono della Repubblica che porta il suo nome assieme ai compatroni San Leone e Sant’Agata.
            Questa è una leggenda che comunque è diventata fondamentale per la storia e l’indipendenza della piccola Repubblica nel corso degli anni.

L’immagine diviene oggetto visibile attraverso il suo supporto, 
la pietra.
Nel plasmare la materia nasce la forma che trova un luogo nello spazio, un suo elemento essenziale diviene la superficie che trattiene l’immagine dentro di sé.
In ogni superficie c’è l’impronta, la traccia di ogni fruitore, un dialogo tra plasticità e robustezza che porta la matrice grafica dell’io.






lunedì 30 gennaio 2017

LA CULTURA DELLA PIETRA

“La cultura della pietra” al centro, tra il passato e futuro, tra tradizione e innovazione, come spunto per proiettarsi in un futuro in cui la tradizione locale trovi la sua necessaria ed opportuna valorizzazione!
La pietra e il lavoro che i “Maestri scalpellini” (ovvero, come l’abilità di un maestro trasforma le pietre in opere d’arte) di Ucria hanno saputo sviluppare, rappresentando, per molto tempo, l’ossatura del contesto economico del paese.
La storia del nostro paese è “cultura della pietra”, poiché si intreccia inesorabilmente con lo sviluppo di questa arte di cui si ravvisano tracce, in ogni angolo di Ucria.
E’ quanto accade in molti luoghi e paesi. L’edilizia riceve spesso caratterizzazione e diversificazione dalle pietre che si utilizzano per costruire le case, sicché l’architettura, traendo qualità ed aspetto del materiale, si lega strettamente al paesaggio.
“La costruzione era in un certo modo un prodotto del suolo nel quale sorgeva. Dall’esame delle costruzioni un naturalista poteva già farsi l’dea dei tipi di roccia affioranti in un dato luogo” – (Veggiani).
La geomorfologia del suolo ucriese mette a disposizione un gran numero di cave di pietre con innumerevoli alternative e possibilità di impiego.
Oggi ad Ucria di cave per estrarre la pietra resta ben poco: se ne intravedono le tracce “ancora leggibili nel paesaggio”, restano i fronti d’attacco, le enormi ferite aperte sui monti, alla base i detriti, le brecce. E le memorie.
C’era pietra e pietra, cava e cava. Anche dal punto di vista qualitativo. Diverse finalità e diverse valenze. Per non parlare delle consistenze, durevolezze, colori, finezze di grana.
Le cave si trovavano in zona Orelluso, a Piano Campo, al Piano Muto.
Le modalità estrattive avvenivano dal distacco di un blocco dal banco, determinato dall’andamento delle stratificazioni. Si procedeva dapprima ad incidere in superficie con l’aiuto di punta o mazzuolo, una sorta di canaletta di pochi centrimetri e inserendo poi dei cunei di legno, (cugnu)m che venivano banati per aumentare la pressione e riuscire ad aprirlo, sempre con l’aiuto di una mazza. Seguendo le fratture si procedeva lo sfaldamento dello strato.
Tutto un piccolo mondo gira intorno al lavoro della pietra. Cavatori, tagliapietre, scalpellini, con ruoli e specializzazioni diverse, sacrifici e da consuetudini familiari che si tramandano di padre in figlio.
L’azione di estrazione della pietra a cielo aperto e della sbozzatura e rifinitura viene oggi ricordata come un lavoro duro, faticoso e rituale.
Ucria, nel tempo, ha evidenziato sempre una grande artisticità dei suoi figli, attraverso appunto l’abilità degli mastri della pietra. Gli scalpellini, artisti da taglio e della lavorazione della pietra, le cui origini affondano nel passato. Gli scalpellini ucriesi contribuirono un impulso notevole dello sviluppo artistico del paese.
Le opere visibili in Ucria sono la testimonianza principale dei bellissimi portali delle chiese di San Pietro Apostolo, la chiesa Madre, la chiesa di SS. Annunziata, la chiesa della Madonna della Scala e tutte le altre chiese secondarie, in cui è ben visibile la presenza di questa maestranza. Colonne monolitiche, sovrastate da capitelli riccamente decorati, nonché le cornici dei balconi, delle mensole e dei “cagnoli” degli antichi palazzi, come quelli presenti nel palazzo Baratta, in via P. Bernardino.
Nell’ultimo trentennio il cemento armato, l’asfalto e la pietra lavica hanno deturpato completamente quello che erano le nostre strade, rimanendo a noi solo un ricordo fotografico.
Ucria vanta decine di famiglie di scalpellini, mestiere tramandato di padre in figlio, come si fa con un bene prezioso, ma oggi sono quasi del tutto scomparsi, resta il nostro caro marmista Salvatore Vinciullo, anche se col riformarsi della pietra, si nota una ripresa di questa antica attività, grazie all’abilità e alla voglia di ripresa di questo antica mestiere di Nino Rigoli e Salvatore Crisà.
La pietra che lavoravano i nostri scalpellini era la locale pietra arenaria che prelevavano dalle varie cave: Piano Muto, O Casteddu, Piano Campo, Orelluso e tante altri luoghi ove affiorava la pietra.
Dopo aver scelto il blocco arenario, gruppi di scalpellini lavoravano in situ i la pietra, o la trasportavano fino al luogo dove si effettuava la lavorazione vera e propria, trasformandola in vere opere d’arte.
L’abilità stava nelle mani di chi conosceva il proprio mestiere. La mia famiglia, mio nonno, Calogero Matteo Scalisi era uno scalpellino, è tramandò questo mestiere ai figli, ma colui che abilmente lavorava la pietra era mio zio Vincenzino.
Questi lavori in pietra sono manufatti che non solo abbelliscono, classificano e donano bellezza alle antiche casa ma ne determinano l’armonia e la bellezza dell’insieme al nostro territorio ucriese, che ne è testimone.
Oltre ai portali, si realizzavano davanzali, cornici alle finestre, soglie alle porte, gradini, balaustre. Tutto doveva essere di pietra, più o meno pregiata a secondo della disponibilità finanziaria del committente.
Gli attrezzi principali del lavoro erano “la squadra” per definire gli spigoli, per determinare l’angolo retto tra le due facce adiacenti, tutt’una serie di scalpelli perfettamente affilati e di buon materiale acciaioso, mazze e mazzuoli, martello a due teste, il compasso, la livella, la sgorbia, la buggiarda, strumenti che venivano di volta in volta usati, secondo la specificità del lavoro.
Il tutto è semplicemente un lavoro manuale, e, sicuramente, un lavoro di grande vanto.
La graduale sostituzione dell’uomo con le macchine è determinato anche dai macchinari ed è anche determinato dal fatto che non ci sono più uomini con la passione e la volontà di imparare questo mestiere. Ecco perché si considera un lavoro in “via di estinzione”.








martedì 17 gennaio 2017

I PORTALI DI PIETRA ARENARIA DEL BORGO RURALE NEBROIDEO DI UCRIA

I PORTALI DI PIETRA ARENARIA DEL BORGO RURALE NEBROIDEO DI UCRIA

            L’espressione semplice dell’arte che si nota nei portali, costituisce l’elemento fondante del rinomato artigianato artistico degli scalpellini. Come già descritto nell’uscita della Cruna del mese di Dicembre 2016, con “La Cultura della pietra: - Gli scalpellini di Ucria”, questo mese ho pensato iniziare ad analizzare alcuni dei portali presenti nel borgo nebroideo ucriese.  
            La diversità dei portali, che costituiva il tratto distintivo della classe sociale di appartenenza, si può notare soprattutto nella varietà delle decorazioni e nello spessore degli stipiti laterali e dell’archetto superiore dove compaiono le iniziali del proprietario dell’abitazione o sono raffigurati degli oggetti che hanno ciascuno un particolare significato.


            Il portale in pietra è composto generalmente da: Conci di Base, Piedritti (diviso in due conci di lunghezza pari a circa 1 mt, ma comunque variabile in funzione dellʼaltezza dellʼapertura), Conci di Spalla, Arco con connetture convergenti ad un unico punto e il Concio di Chiave o chiave di volta. Tale conformazione è, comunque, esempio di una manovalanza tipica dellʼarea di interesse che aveva fatto propria le basi del costruire.
            Il nostro territorio ha dei casi rari, portali sicuramente di edifici di entità inferiore, infatti ha la particolarità di avere portali composti da concio di base piedritti e due elementi ad arco, senza il concio di chiave, che solitamente è colui che dà la spinta per mutuo contrasto alla struttura.




            Il materiale utilizzato per la costruzione dei portali è la pietra tipica arenaria. Essa presenta una buona lavorabilità e resistenza, è di natura sedimentaria, granuli di quarzo, feldspato e mica, cementati da una matrice argillosa, calcarea o silicea e veniva cavata principalmente nelle località di Piano Campo, Orelluso, Piano Muto, ed altri luoghi. E’ di colore grigiastro.
         Questo inizio di ricerca ha analizzato la tipologia di alcuni portali, partendo dalla configurazione classica e umile a quelli più lavorati. Il portale classico privo di decorazione è composto principalmente da piedritti, spalle e conci d’arco.
            Dalla formazione classica in cui può variare il numero di conci o la tipologia di forma, si possono ritrovare elementi che caratterizzano totalmente il portale, e che dallo studio di essi è possibile dedurre la funzione che si svolgeva internamente.
            La superficie dei conci è lavorata a punta di scalpello; a volte i conci trattati a punta di diamante sono alternati da conci con decorazioni in bassorilievo. Vi è la presenza di decorazione in   chiave. Nella maggior parte dei conci di chiave che troviamo nei portali di Ucria, vi è scolpita, il prodotto considerato o che è stato considerato nel territorio ucriese l’Oro dei Nebrodi: la foglia della Nocciola.





            Altri fabbricati hanno una maggiore ricercatezza del decoro che sottolineano l’esistenza di una scuola comune nell’area, che dette vita a particolari come decorazioni floreali, piccole allegorie e simboli animali o creature mostruose (Come il palazzo di Per). Questo portale affaccia sulla strada principale. Questo dimostra ancora la differenza di importanza delle famiglie del luogo. Alcuni portali presentano elementi decorativi predominanti, con arrotondamenti delle cornici e delle modanature, che sono comunque molto eleganti e ben inseriti nell’ambiente circostante, segno della volontà di far predominare all’aspetto nobiliare il desiderio di legarsi o di “emergere con umiltà” rispetto ai fabbricati limitrofi.




         Di seguito si riportano alcune immagini di alcuni dei portali presenti nel territorio.

            Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. “Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?” chiede Kublai Kan “Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra – risponde Marco – ma dalla linea dell’arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge:” Perché mi parli delle pietre? E solo dell’arco che m’importa.” Polo risponde: “Senza pietre non c’è arco”.