lunedì 30 gennaio 2017

LA CULTURA DELLA PIETRA

“La cultura della pietra” al centro, tra il passato e futuro, tra tradizione e innovazione, come spunto per proiettarsi in un futuro in cui la tradizione locale trovi la sua necessaria ed opportuna valorizzazione!
La pietra e il lavoro che i “Maestri scalpellini” (ovvero, come l’abilità di un maestro trasforma le pietre in opere d’arte) di Ucria hanno saputo sviluppare, rappresentando, per molto tempo, l’ossatura del contesto economico del paese.
La storia del nostro paese è “cultura della pietra”, poiché si intreccia inesorabilmente con lo sviluppo di questa arte di cui si ravvisano tracce, in ogni angolo di Ucria.
E’ quanto accade in molti luoghi e paesi. L’edilizia riceve spesso caratterizzazione e diversificazione dalle pietre che si utilizzano per costruire le case, sicché l’architettura, traendo qualità ed aspetto del materiale, si lega strettamente al paesaggio.
“La costruzione era in un certo modo un prodotto del suolo nel quale sorgeva. Dall’esame delle costruzioni un naturalista poteva già farsi l’dea dei tipi di roccia affioranti in un dato luogo” – (Veggiani).
La geomorfologia del suolo ucriese mette a disposizione un gran numero di cave di pietre con innumerevoli alternative e possibilità di impiego.
Oggi ad Ucria di cave per estrarre la pietra resta ben poco: se ne intravedono le tracce “ancora leggibili nel paesaggio”, restano i fronti d’attacco, le enormi ferite aperte sui monti, alla base i detriti, le brecce. E le memorie.
C’era pietra e pietra, cava e cava. Anche dal punto di vista qualitativo. Diverse finalità e diverse valenze. Per non parlare delle consistenze, durevolezze, colori, finezze di grana.
Le cave si trovavano in zona Orelluso, a Piano Campo, al Piano Muto.
Le modalità estrattive avvenivano dal distacco di un blocco dal banco, determinato dall’andamento delle stratificazioni. Si procedeva dapprima ad incidere in superficie con l’aiuto di punta o mazzuolo, una sorta di canaletta di pochi centrimetri e inserendo poi dei cunei di legno, (cugnu)m che venivano banati per aumentare la pressione e riuscire ad aprirlo, sempre con l’aiuto di una mazza. Seguendo le fratture si procedeva lo sfaldamento dello strato.
Tutto un piccolo mondo gira intorno al lavoro della pietra. Cavatori, tagliapietre, scalpellini, con ruoli e specializzazioni diverse, sacrifici e da consuetudini familiari che si tramandano di padre in figlio.
L’azione di estrazione della pietra a cielo aperto e della sbozzatura e rifinitura viene oggi ricordata come un lavoro duro, faticoso e rituale.
Ucria, nel tempo, ha evidenziato sempre una grande artisticità dei suoi figli, attraverso appunto l’abilità degli mastri della pietra. Gli scalpellini, artisti da taglio e della lavorazione della pietra, le cui origini affondano nel passato. Gli scalpellini ucriesi contribuirono un impulso notevole dello sviluppo artistico del paese.
Le opere visibili in Ucria sono la testimonianza principale dei bellissimi portali delle chiese di San Pietro Apostolo, la chiesa Madre, la chiesa di SS. Annunziata, la chiesa della Madonna della Scala e tutte le altre chiese secondarie, in cui è ben visibile la presenza di questa maestranza. Colonne monolitiche, sovrastate da capitelli riccamente decorati, nonché le cornici dei balconi, delle mensole e dei “cagnoli” degli antichi palazzi, come quelli presenti nel palazzo Baratta, in via P. Bernardino.
Nell’ultimo trentennio il cemento armato, l’asfalto e la pietra lavica hanno deturpato completamente quello che erano le nostre strade, rimanendo a noi solo un ricordo fotografico.
Ucria vanta decine di famiglie di scalpellini, mestiere tramandato di padre in figlio, come si fa con un bene prezioso, ma oggi sono quasi del tutto scomparsi, resta il nostro caro marmista Salvatore Vinciullo, anche se col riformarsi della pietra, si nota una ripresa di questa antica attività, grazie all’abilità e alla voglia di ripresa di questo antica mestiere di Nino Rigoli e Salvatore Crisà.
La pietra che lavoravano i nostri scalpellini era la locale pietra arenaria che prelevavano dalle varie cave: Piano Muto, O Casteddu, Piano Campo, Orelluso e tante altri luoghi ove affiorava la pietra.
Dopo aver scelto il blocco arenario, gruppi di scalpellini lavoravano in situ i la pietra, o la trasportavano fino al luogo dove si effettuava la lavorazione vera e propria, trasformandola in vere opere d’arte.
L’abilità stava nelle mani di chi conosceva il proprio mestiere. La mia famiglia, mio nonno, Calogero Matteo Scalisi era uno scalpellino, è tramandò questo mestiere ai figli, ma colui che abilmente lavorava la pietra era mio zio Vincenzino.
Questi lavori in pietra sono manufatti che non solo abbelliscono, classificano e donano bellezza alle antiche casa ma ne determinano l’armonia e la bellezza dell’insieme al nostro territorio ucriese, che ne è testimone.
Oltre ai portali, si realizzavano davanzali, cornici alle finestre, soglie alle porte, gradini, balaustre. Tutto doveva essere di pietra, più o meno pregiata a secondo della disponibilità finanziaria del committente.
Gli attrezzi principali del lavoro erano “la squadra” per definire gli spigoli, per determinare l’angolo retto tra le due facce adiacenti, tutt’una serie di scalpelli perfettamente affilati e di buon materiale acciaioso, mazze e mazzuoli, martello a due teste, il compasso, la livella, la sgorbia, la buggiarda, strumenti che venivano di volta in volta usati, secondo la specificità del lavoro.
Il tutto è semplicemente un lavoro manuale, e, sicuramente, un lavoro di grande vanto.
La graduale sostituzione dell’uomo con le macchine è determinato anche dai macchinari ed è anche determinato dal fatto che non ci sono più uomini con la passione e la volontà di imparare questo mestiere. Ecco perché si considera un lavoro in “via di estinzione”.








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